Certificazione malattia
29 Agosto 2007

Pubblichiamo un estratto della circolare INPS n,136 del 25 luglio 2003 recante alcune disposizioni relative alla certificazione di malattia e la corretta procedura da tenere nei confronti dell’istituto.
Oltre alla note riportate nella circolare vale la pena ricordare ai lavoratori e lavoratrici che la certificazione va altresì inoltrata anche la proprio datore di lavoro, rispettando le modalità ed i tempi previsti dal Contratto Nazionale di Lavoro che viene applicato.
Generalmente essi prevedono il tempestivo avviso telefonico della impossibilità a recarsi al lavoro entro il primo giorno o prima dell’inizio del turno ove possibile. E l’invio entro le 48 ore successive del relativo certificato medico, ma come detto sopra ogni contratto prevede norme specifiche ed è bene che ognuno ne verifichi le disposizioni.
Consegna certificati di malattia all’INPS di competenza.
Invio all’I.N.P.S. del certificato di malattia attraverso modalità diverse da quelle stabilite dalla legge n. 33 del 1980 (recapito o trasmissione per posta), ovvero spedito tramite fax o con preavviso telefonico.
Al riguardo si precisa che la certificazione di malattia non può essere sostituita – per espressa previsione dell’art. 49, comma 1, del T.U. – D.P.R. n. 449 del 2000 – da altro documento; la relativa trasmissione tramite fax può quindi essere considerata valida ai soli fini del rispetto del termine di invio, previsto per consentire l’effettuazione di visite mediche di controllo, fermo restando che per la concessione dell’indennità occorre che il certificato medico originale pervenga in tempo utile [1].
Nessun valore è invece attribuibile ad eventuali comunicazioni telefoniche.
Le indicazioni che precedono valgono anche per la copia priva di diagnosi (attestato di malattia) da inviare al datore di lavoro, ovviamente per gli aspetti riferiti all’indennità di malattia anticipata per conto dell’Istituto.
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[1] Il certificato non sarà cioè ritenuto valido se pervenuto oltre il termine annuale di prescrizione vigente nella materia
Certificazioni rilasciate da strutture ospedaliere.
1. Certificati di ricovero e di pronto soccorso
Come noto (v. da ultimo circolare n. 99 del 13 maggio 1996), l’Istituto attribuisce validità, ai fini dell’erogazione delle prestazioni economiche di malattia, anche alla certificazione rilasciata dagli ospedali o dalle strutture di pronto soccorso.
Su tale aspetto si ritiene opportuno precisare che limitatamente alle giornate di ricovero e/o alla giornata in cui è stata eseguita la prestazione di pronto soccorso così documentate, agli effetti del riconoscimento del diritto alla prestazione, è sufficiente che la certificazione suddetta sia redatta su carta intestata e riporti le generalità dell’interessato, la data del rilascio, la firma leggibile del medico e l’indicazione della diagnosi.
Eventuali semplici “attestazioni” di ricovero, in genere carenti della diagnosi, non sono pertanto da ritenere valide ai fini certificativi.
In presenza di certificazioni rilasciate dalle strutture ospedaliere in cui siano formulate prognosi successive al ricovero o alla prestazione di pronto soccorso, la copertura dei relativi periodi, agli effetti erogativi di interesse, è riconoscibile soltanto quando il giudizio prognostico suddetto faccia riferimento esplicito ad uno stato di incapacità lavorativa e non alla mera prognosi clinica salvo complicazioni.
La medesima certificazione, da inviare entro due giorni dal rilascio, sarà considerata regolare se completa degli altri dati essenziali sopra specificati; nel caso, il lavoratore dovrà indicare, oltre ai dati relativi all’azienda presso la quale è occupato, anche la sua abituale residenza e l’eventuale diverso temporaneo recapito al fine della predisposizione dei previsti controlli.
Le presenti istruzioni modificano le precedenti disposizioni (v. circolare n. 145 del 28 giugno 1993) secondo cui le istanze di lavoratori che avevano omesso in buona fede di inviare regolare certificazione ovvero l’avevano trasmessa in ritardo, limitandosi ad inviare il referto di pronto soccorso contenente una prognosi clinica, potevano essere favorevolmente considerate. Le suddette disposizioni erano infatti fondate sul presupposto della incertezza normativa allora esistente circa l’obbligo delle strutture di cui trattasi di inviare all’I.N.P.S. la certificazione in parola, incertezza da ritenersi superata, essendo ormai di generale cognizione che l’adempimento è a carico del lavoratore interessato.
Eventuali ritardi od omissioni saranno quindi valutati secondo i criteri vigenti, anche ai fini della giustificabilità dei motivi addotti. Tanto vale anche per i periodi di prognosi successivi a ricoveri, per i quali valevano le medesime considerazioni dianzi esposte.
Con l’occasione si ribadisce, come peraltro precisato nella circolare n. 134399 AG0/21 del 27 gennaio 1983, che la previsione di non applicazione delle sanzioni per ritardata certificazione nell’ipotesi di malattie che abbiano comportato il ricovero in luogo di cura, è da riferire soltanto alla certificazione attestante i periodi di ricovero presso ospedali o case di cura pubblici o privati, rilasciata dalle stesse strutture.
Resta inteso comunque che, anche in tal caso, l’indennizzabilità dell’evento resta subordinata all’invio, a cura del lavoratore, della certificazione stessa ai previsti destinatari (I.N.P.S. e datore di lavoro) non oltre il termine annuale di prescrizione vigente nella materia.
La certificazione limitata a prestazioni di pronto soccorso – prestazioni non equiparabili a ricovero – dovrà quindi essere inviata nei termini previsti per la certificazione di malattia (entro 2 giorni dal rilascio).
2. Certificati di “dimissioni protette”
Nel nuovo modello organizzativo adottato in sanità, è frequente il ricorso alle cosiddette “dimissioni protette” per ricoveri che richiederebbero lunghe degenze ai soli fini di eseguire – per il raggiungimento della guarigione completa o della stabilizzazione della situazione morbosa – un monitoraggio clinico ovvero esami clinico-strumentali più o meno indaginosi e complessi.
In sostanza la condizione di degenza non è in assoluto conclusa, ma viene temporaneamente sospesa.
Si tratta di periodi complessivi di solito protratti e indeterminati, durante i quali il soggetto si rapporta alla struttura di ricovero solo nelle giornate allo scopo programmate e, fra l’uno e l’altro appuntamento, può anche aver recuperato la propria capacità al lavoro.
Al riguardo, definendo questa pausa fra un appuntamento e l’altro “periodo intermedio”, si chiarisce che ai fini erogativi i “periodi intermedi” non sono equiparabili a ricovero.
Si tratta, infatti, di situazioni non comprovanti di per sé la permanenza dell’incapacità al lavoro, con la conseguenza che l’episodio morboso è da ritenere indennizzabile solo per i giorni effettivamente trascorsi in regime di ricovero.
Per l’indennizzabilità dei periodi intermedi nell’ambito della “dimissione protetta” è necessario quindi che dalla relativa certificazione, rilasciata dalla struttura ospedaliera (ovvero dal curante), risulti che il lavoratore sia non soltanto “ammalato” ma anche temporaneamente incapace al lavoro a causa della malattia da cui è affetto.
Anche nel caso in esame la certificazione di cui trattasi dovrà essere inviata a cura del lavoratore entro due giorni dal rilascio e dovrà contenere tutti i dati richiesti; eventuali ritardi od omissioni saranno parimenti considerati secondo le disposizioni generali, pure ai fini della giustificabilità dei motivi addotti.
Resta inteso che nell’eventualità di rientro nella struttura ospedaliera, al termine del periodo di “dimissione protetta” ovvero anche durante lo stesso, l’evento potrà essere indennizzato – se ne ricorrono i presupposti (evento intervenuto entro 30 giorni dal precedente) – quale “ricaduta”.
3. Certificati di day hospital
Con circolare n. 192 del 7 ottobre 1996, par. 4, è stato precisato che, nel caso di prestazioni debitamente documentate effettuate in day hospital, il requisito della sussistenza dello stato di incapacità lavorativa, necessario ai fini dell’indennizzabilità dell’evento, può intendersi realizzato quando la permanenza giornaliera nel luogo di cura copre la durata giornaliera dell’attività lavorativa ovvero, nell’ipotesi di permanenza inferiore, quando, a livello medico, il lavoratore sia ritenuto comunque incapace al lavoro nel corso della stessa giornata di effettuazione del trattamento.
Al riguardo si fa presente che la specifica materia, inizialmente disciplinata dal D.P.R. 20 dicembre 1992, ha subito successivi interventi legislativi, legati soprattutto all’introduzione di nuovi sistemi di classificazione delle patologie – finalizzati sotto il profilo dell’ottimizzazione del rapporto costobeneficio alla quantizzazione media dei giorni di ricovero correlati (chiamati DRG e cioè “Diagnosis Related Groups”) – e ai LEA (Livelli Essenziali di Assistenza).
Sono state, pertanto, specificamente individuate le prestazioni erogabili in day hospital, tutte qualificate da patologie a gravità media ovvero di complessa gestione per la molteplicità di interventi necessari nella stessa giornata e, persino, da interventi chirurgici non eccessivamente impegnativi sul piano sistemico.
In relazione a quanto precede si ritiene che debbano essere rivisti i criteri già fissati equiparando, ai fini erogativi di interesse, le giornate in cui si effettua la prestazione in regime di day hospital a giornate di ricovero, per cui, a prescindere dalle valutazioni prima richieste sulla durata della presenza giornaliera nel luogo di cura, nelle situazioni in questione, la incapacità al lavoro è senz’altro riconoscibile anche se limitatamente al solo giorno di effettuazione della prestazione riportato nella certificazione medica.
Sono applicabili in sostanza, sia per quanto concerne i requisiti certificativi che i termini di invio, i criteri indicati relativamente alle giornate di ricovero, compresa la prevista riduzione della misura dell’indennità nel caso di lavoratori non aventi familiari a carico.
Ovviamente, ai fini dell’indennizzabilità di ulteriori giorni successivi al ricovero in day hospital, il lavoratore dovrà produrre altro certificato medico di continuazione, compilato in ogni sua parte.
Eventuali ritardi od omissioni nell’invio della ulteriore certificazione saranno considerati secondo le disposizioni generali, anche ai fini della giustificabilità dei motivi addotti.
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(3) Per ulteriori chiarimenti riguardanti il presente punto cfr. messaggio 7 novembre 2003, n. 968, emanato dall’Istituto nazionale della previdenza sociale.
Visite mediche di controllo. Lavoratori momentaneamente assenti al proprio domicilio.
Con messaggio n. 13385 del 21 ottobre 1999 è stato precisato che nel caso in cui il lavoratore, risultato assente al momento dell’accesso del medico di controllo, ritorni nella propria abitazione prima del definitivo allontanamento del medico, la visita domiciliare può comunque aver luogo (se non sussistono motivi ostativi), ma che tale visita non annulla la rilevata iniziale assenza, con conseguente applicazione della sanzione prevista, in mancanza di validi motivi di giustificazione.
Ad evitare erronei convincimenti degli assicurati circa la non sanzionabilità della iniziale assenza, si invitano codeste Sedi a rappresentare ai medici di controllo la necessità di esplicitare espressamente ai lavoratori, annotandolo anche sul referto, che, nelle situazioni in esame, l’esecuzione della visita non giustifica di per sé l’assenza prima rilevata.
Legalizzazione dei certificati di malattia rilasciati da medici stranieri all’estero.
Come è noto, secondo le istruzioni impartite, nel caso di assicurati occupati in Italia che si ammalano durante soggiorni all’estero in Paesi non facenti parte della Comunità Europea ovvero in Paesi che non hanno stipulato con l’Italia Convenzioni ed Accordi specifici che regolano la materia, la corresponsione dell’indennità di malattia può aver luogo solo dopo la presentazione all’I.N.P.S. della certificazione originale, legalizzata a cura della rappresentanza diplomatica o consolare italiana operante nel territorio estero.
L’adempimento, potendo richiedere tempi più lunghi, può essere espletato, a cura dell’interessato, anche in un momento successivo al rientro (e, ovviamente, pure per via epistolare), fermo restando che il lavoratore è tenuto all’invio della certificazione entro 2 giorni dal rilascio al datore di lavoro ed all’I.N.P.S. (eventualmente in copia).
In relazione a richieste di chiarimenti al riguardo, si precisa che per “legalizzazione” si intende l’attestazione, da fornire anche a mezzo timbro, che il documento è valido ai fini certificativi secondo le disposizioni locali. Conseguentemente la sola attestazione della autenticità della firma del traduttore abilitato ovvero della conformità della traduzione all’originale non equivale alla legalizzazione e non è sufficiente ad attribuire all’atto valore giuridico in Italia.
Si conferma da ultimo, come di recente ribadito dal Ministero degli affari esteri, interessato a seguito di posizioni diverse assunte da alcune Ambasciate o Consolati, che in materia di legalizzazione continuano ad essere applicate le procedure vigenti.