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I CONTRATTI DI SOLIDARIETA’ (disciplina legislativa e spunti di riflessione)

L’istituto dei contratti di solidarietà registra di recente nuova attenzione in campo economico e sociale quale misura contingente per affrontare la grave crisi occupazionale e retributiva in atto, in attesa della ripresa produttiva. Pare dunque utile una ricognizione della disciplina legislativa esistente per cogliere i possibili sviluppi in prospettiva.


Tipologia e base normativa

I contratti di solidarietà, già previsti quali strumento per l’occupazione dall’accordo tra Governo e Parti sociali del 22 gennaio 1983, sono stati introdotti nel nostro ordinamento dalla legge n.863/1984 e successivamente modificati in particolare dalla legge n.236/1993 e dalla legge n.608/1996 (si veda da ultimo la circolare del Ministero del lavoro n.20, del 25 maggio 2004). Si distingue il contratto di solidarietà di tipo difensivo (art.1, legge n.863/1984), comportante una riduzione d’orario giornaliero, settimanale o mensile, al fine di evitare, in tutto o in parte, una riduzione della manodopera occupata, con proporzionale riduzione della retribuzione parzialmente compensata dall’intervento della Cigs (con l’art.5, della legge n.236/1993, si è tentato peraltro un rilancio dell’istituto definendo, tra l’altro, un “nuovo modello” di contratto di solidarietà per le imprese non rientranti nel campo della cassa integrazione straordinaria); ed il contratto di solidarietà di tipo espansivo (art.2, legge n.863/1984), comportante una riduzione d’orario definitiva, con perdita di retribuzione, per permettere la contestuale assunzione a tempo indeterminato di nuova manodopera, in cui lo Stato interviene con agevolazioni economiche per le imprese che assumono nuovo personale (a tale ipotesi, rimasta sostanzialmente inutilizzata, si richiama la più recente previsione di “patto di solidarietà fra generazioni”, contenuta nella Legge Finanziaria 2007 -art.1, comma 1160, legge n.296/2006-, volta a favorire la graduale uscita dal sistema produttivo dei lavoratori ultracinquantacinquenni con correlativa assunzione part time di giovani inoccupati o disoccupati di età inferiore ai 25 anni, oppure ai 29 anni se in possesso di diploma di laurea, a quanto consta tuttora non operativa per mancanza delle norme attuative).

Il contratto di solidarietà “difensivo”: il modello originario (art.1, legge n.863/1984) Secondo tale contratto si realizza una solidarietà tra i dipendenti dell’impresa, i quali accettano una riduzione dell’orario di lavoro, e della corrispondente retribuzione, al fine di riassorbire eccedenze di personale, con la corresponsione ai medesimi del trattamento di integrazione salariale nella misura di un determinato ammontare del trattamento retributivo perso a seguito della predetta riduzione di orario. Tale strumento non è risultato molto utilizzato specie per la presenza, in passato, del possibile ricorso alla Cigs senza sostanziali limiti temporali, ritenuto più conveniente per il governo delle eccedenze di personale.

L’efficacia del contratto di solidarietà

L’efficacia del contratto di solidarietà nei confronti di tutti i lavoratori occupati nell’impresa (a prescindere dalla mancata affiliazione al sindacato stipulante) è affermata dalla dottrina prevalente individuando nel medesimo solo un presupposto del provvedimento amministrativo –di applicazione generale-di ammissione alla Cigs, nonché dalla giurisprudenza quale “eccezione”, legislativamente prevista e giustificata dai vantaggi occupazionali attesi, rispetto alla regola della limitata efficacia soggettiva dei contratti aziendali (si veda Cass. n.1403/1990 e, più di recente, Cass. n.24706/2007).

I soggetti collettivi stipulanti i contratti di solidarietà sono individuati, nell’art. 1, comma 1, della legge n.863/1984 nei “sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”. Sono dunque legittimate alla stipulazione dei contratti di solidarietà le strutture sindacali in collaborazione con le Rsu/Rsa .

Il trattamento di integrazione salariale

L’art.1, comma 2, della legge n.863/1984, stabilisce che l’ammontare del trattamento di integrazione salariale, da corrispondere ai lavoratori “è determinato nella misura del 50% “del trattamento retributivo perso a seguito della riduzione di orario”. In seguito tale ammontare è stato elevato al 60% per gli operai e gli impiegati delle imprese ubicate nel Mezzogiorno, ed in via transitoria e senza differenziazioni sul piano territoriale, al 75 % (art.5, comma 4, legge n.236/1993). Da ultimo l’ammontare è stato fissato al 60% per tutti i contratti di solidarietà stipulati successivamente al 14 giugno 1995 (art.6, comma 3, legge n.608/1996), con la possibilità per il Ministero del lavoro, di determinare al 70% l’ammontare del trattamento di integrazione salariale per le aree a basso tasso di sviluppo o di declino industriale individuate ai sensi degli obiettivi n.1 e n.2, del regolamento comunitario n. 2081/1993 (art.9, comma 25, lett.d), legge n.608/1996). Secondo la dottrina prevalente l’entità della integrazione salariale deve essere calcolata con riferimento alla retribuzione effettivamente perduta. La legge stabilisce peraltro che “il trattamento retributivo perso va determinato inizialmente non tenendo conto degli aumenti retributivi previsti da contratti collettivi aziendali nel periodo di sei mesi antecedente la stipula del contratto di solidarietà”(art.1, comma 2, legge n.863/1984), e ciò al fine di evitare pratiche fraudolente, relative a fittizi aumenti retributivi nel periodo immediatamente precedente la stipula del contratto di solidarietà (tale previsione non dovrebbe peraltro riguardare aumenti salariali stabiliti ad altri livelli; ad esempio dal contratto collettivo nazionale). D’altro lato l’art.13, comma 1, della legge n.223/1993 che, ha abrogato l’art.1, comma 2, legge n.863/1984 ultimo periodo, stabilisce che l’ammontare del trattamento di integrazione salariale concesso “non subisce riduzioni a seguito di eventuali successivi aumenti retributivi intervenuti in sede di contrattazione aziendale”; il trattamento di Cigs viene dunque reso insensibile ad eventuali aumenti retributivi aziendali. E’ inoltre da sottolineare che sempre ai sensi del citato art.13, comma 1, legge n.223/1991, l’ammontare del trattamento di integrazione salariale concesso in caso di contratto di solidarietà “non è soggetto alla disciplina sull’importo massimo come determinato dalla legge 13 agosto 1980, n.427”; non si applica dunque il “massimale” normalmente previsto per gli interventi di cassa integrazione guadagni, rendendo dunque, per questo aspetto, competitivo il contratto di solidarietà rispetto alla Cigs (il datore di lavoro è peraltro esonerato dal pagamento del contributo addizionale che grava sulle imprese che si avvalgono degli interventi della Cigs; art.8, comma 8, legge n.160/1988). Delicata questione, non affrontabile in questa sede, è quella della compatibilità/cumulabilità tra contratto di solidarietà e intervento della Cassa integrazione guadagni (al riguardo si veda d.m. 23 dicembre 1994 e circolare Inps n.103/1995)

Durata del trattamento pensionabilità

Nel contratto di solidarietà non può essere prevista, di norma, una durata inferiore ai 12 mesi e, come stabilito dall’art.1, comma 2, legge n.863/1984, superiore ai 24 mesi. Un nuovo contratto di solidarietà può essere stipulato solo se sono decorsi 12 mesi dal contratto precedente; in ogni caso per ciascuna unità produttiva i trattamenti straordinari, erogati a qualsiasi titolo, non possono eccedere complessivamente 36 mesi nell’arco di un quinquennio (art.1,comma 9, legge n.223/1991). Tale limite può tuttavia essere superato qualora il contratto di solidarietà abbia la finalità di strumento alternativo alla procedura per la dichiarazione di mobilità, di cui all’art.4, legge n.223/1991. In tal caso la deroga deve essere finalizzata al mantenimento in azienda di almeno il 50% delle eccedenze dichiarate nel contratto di solidarietà (art.7, d.m. 31445/2002). In ordine ai profili previdenziali il comma 4, dell’art.1, legge n.863/1994, stabilisce che il periodo di intervento della Cigs è riconosciuto utile d’ufficio ai fini dell’acquisizione del diritto, della determinazione della misura della pensione e del conseguimento dei supplementi di pensione (il contributo figurativo, a carico della contabilità separata dei trattamenti di Cigs, è commisurato al trattamento retributivo perso).

Contratto di solidarietà e licenziamento

Stante le finalità del contratto di solidarietà, volto a superare momenti temporanei di crisi, è da ritenere illegittimo il licenziamento dei lavoratori durante la vigenza del medesimo; in tal senso è orientata la dottrina e la giurisprudenza prevalente (tra le altre, Pret. Roma 30 aprile 1994; Pret. Como 7 dicembre 1990). Più in generale il contratto di solidarietà non può essere inteso come un normale ammortizzatore sociale, utile solo per ritardare i licenziamenti. La giurisprudenza ha altresì ritenuto che la stipula di contratti di solidarietà possa legittimare, in deroga all’art.2103, cod.civ. l’adibizione dei lavoratori a mansioni inferiori, in quanto diretta al riassorbimento, totale o parziale, del personale eccedente (Pret. Milano 12 giugno 1992). 3. Il “rilancio” dell’istituto previsto dall’art.5, della legge n.236/1993 Con l’art.5, della legge n.236/1993 si dettano innovazioni volte ad incentivare l’utilizzo dei contratti di solidarietà, soprattutto mediante benefici economici per le stesse imprese. In primo luogo, ai sensi del comma 2, sono previsti sgravi contributivi, di natura assistenziale e previdenziale, commisurati all’entità della riduzione di orario: se la riduzione d’orario supera il 20%, la riduzione degli oneri contributivi per il datore di lavoro è del 25%, elevata al 30% per le imprese operanti nelle aree a declino industriale individuate ai sensi degli obiettivi 1 e 2 del regolamento Cee n.2052/88; per riduzioni di orario superiori al 30%, la riduzione di oneri contributivi è rispettivamente del 35% e 40%, peraltro nei limiti delle disponibilità finanziarie assicurate dal Fondo per l’occupazione e per un periodo non superiore a 24 mesi (art.6, comma 4, legge n.608/1996 e circolari Inps nn. 56 e 104 del 2006). Inoltre, ai sensi del comma 4, per il biennio 1993/1995, spetta al datore di lavoro l’erogazione di un contributo, da corrispondersi in rate trimestrali, pari ad un quarto del monte ore retributivo non dovuto a seguito della riduzione di orario. Si tratta di un beneficio diretto al datore di lavoro secondo il modello previsto per il contratto di solidarietà espansivo, di cui all’art.2, legge n.863/1984. In riferimento agli incentivi a beneficio dei lavoratori, si stabilisce che l’ammontare del trattamento di integrazione Salariale corrisposto per i contratti di solidarietà stipulati nel biennio 1993-5, venga elevato al 75% del trattamento retributivo perso a seguito della riduzione di orario. Abbandonando dunque la tecnica dei vantaggi unilaterali propria della l. n.863/1984 (integrazione salariale per i lavoratori nel contratto di solidarietà “difensivo”, di cui all’art.1; agevolazioni per i soli datori di lavoro con riguardo ai contratti di solidarietà “espansivi”, di cui all’art.2) il legislatore del 1993 predispone incentivi tesi a rendere conveniente il ricorso ai contratti di solidarietà sia per i lavoratori che per le imprese. NB E’ tuttavia da segnalare che per ragioni di contenimento della spesa pubblica, sia le agevolazioni contributive che il contributo per le imprese non spettano più per i contratti di solidarietà stipulati successivamente alla data del 14 giugno 1995 (art.6, comma 3, legge n.608/1996), per i quali viene altresì ridotto l’ammontare del trattamento di integrazione salariale dal 75% al 60%. Tra le altre previsioni si dispone che la riduzione di orario può essere stabilita su base giornaliera, settimanale o mensile (non annuale), riconoscendosi in tal modo un’ampia autonomia per la contrattazione collettiva in merito alla sua distribuzione. Si prevede inoltre che in determinate ipotesi l’impresa possa aumentare l’orario di lavoro; in tal caso il maggior lavoro prestato comporta una corrispondente riduzione del trattamento di integrazione salariale ovvero del contributo erogato all’impresa (art.5, commi 10/12).

Il nuovo “modello” di contratto di solidarietà posto dall’art.5, comma 5, legge n.236/1993 L’art.5, comma 5, della legge n.236/1993, introduce anche un nuovo modello di contratto di solidarietà per le imprese non rientranti nel campo di applicazione della Cigs, al fine di evitare o ridurre le eccedenze di personale nel corso della procedura di cui all’art.24, della legge n.223/1991 (licenziamenti collettivi), comprese le imprese alberghiere e le aziende termali (comma 7) nonché, a particolari condizioni, le imprese artigiane con meno di 16 dipendenti (comma 8). Con la stipula del contratto di solidarietà alle imprese “viene corrisposto, per un periodo massimo di due anni, un contributo pari alla metà del monte ore retributivo da esse non dovuto a seguito della riduzione di orario. Il predetto Contributo viene erogato in rate trimestrali e ripartito in parti uguali tra l’impresa e i lavoratori interessati”. Quindi i lavoratori non beneficiano dell’intervento della Cassa integrazione salariale (come nel contratto di solidarietà di cui all’art.1, legge n.863/1984) bensì della metà del contributo pubblico corrisposto alle imprese. (nei limiti delle risorse finanziarie poste a carico del Fondo per l’occupazione). Il contributo per i lavoratori non ha natura di retribuzione i fini degli istituti contrattuali e di legge, ivi compresi gli obblighi contributivi previdenziali e assistenziali, dovendosi tener conto ai soli fini pensionistici, per il periodo di riduzione, dell’intera retribuzione di riferimento. Ai sensi poi del comma 8, le disposizioni del comma 5, trovano applicazione anche per le imprese artigiane non rientranti nel campo di applicazione della Cigs, “anche ove occupino meno di 16 dipendenti, a condizione che i lavoratori con orario ridotto da esse dipendenti percepiscano, a carico di fondi bilaterali istituiti da contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale, una prestazione di entità non superiore a quella corrispondente alla metà del contributo pubblico 7 destinato ai lavoratori” (si veda circolare Min. lavoro n.20/2004). Si tratta dunque di un intervento integrativo dello Stato, che si realizza a condizione che anche istituti privato-collettivi partecipino con risorse proprie. Il regime di solidarietà si applica anche ai lavoratori assunti con contratto a termine o con contratto di inserimento e agli apprendisti, purché la riduzione di orario non impedisca il raggiungimento degli obiettivi formativi; sono invece esclusi i lavoratori con qualifiche dirigenziali (circolare n.20/2004). La validità delle disposizioni dell’art.5, commi 5 e 8 è stata finora prorogata di anno in anno, ed è attualmente in fase di approvazione l’ennesima proroga al 31 dicembre 2009. 4. In sintesi Per le imprese rientranti nella disciplina della cigs (industria e indotto, grande distribuzione)(legge 863/84): -i lavoratori coinvolti dalla riduzione di orario ricevono un’integrazione salariale pari al 60% del trattamento retributivo perso a seguito di riduzioni di orario (giornaliero, settimanale, mensile) derivanti da contratti collettivi aziendali. Tale integrazione può avere durata massima di 2 anni prorogabile di altri 2, che diventano 3 nel Mezzogiorno; -alle imprese spettano sgravi contributivi del 25% (riferiti ai lavoratori interessati dal contratto di solidarietà) se la riduzione di orario è superiore al 20% e del 35% se la riduzione di orario è superiore al 30% dell’orario contrattuale (con uno sgravio aggiuntivo del 5% per i contratti di solidarietà stipulati nelle aree Ob. 1 e 2 Ue). Per le imprese non rientranti nella disciplina cigs, ma che abbiano comunque più di 15 dipendenti (legge 236/93): Alle aziende viene corrisposto un contributo pari al 50% del monte retributivo da esse non dovuto a seguito della riduzione di orario, che deve essere ripartito in parti uguali tra imprese e lavoratori. In pratica al lavoratore spetta il 25% della retribuzione persa (spesso negli accordi sindacali viene previsto che l’intero contributo spetti al lavoratore, che in questi casi beneficia dunque del 50 % della retribuzione persa). La durata massima del trattamento è di 24 mesi. Il trattamento può essere esteso in certi casi anche ad aziende con meno di 15 dipendenti (imprese artigiane non rientranti nel campo di applicazione della Cigs, anche ove occupino meno di 16 dipendenti, a condizione che i lavoratori con orario ridotto da esse dipendenti percepiscano una prestazione integrativa a carico di fondi bilaterali). 5. Spunti di riflessione I contratti di solidarietà hanno dunque una lunga storia ed occorre capire perché in passato tale istituto non sia stato pienamente utilizzato. I motivi sono stati individuati principalmente nel livello decisamente basso dei trattamenti di integrazione salariale (in origine il 50% della retribuzione persa) e nella difficile solidarietà tra lavoratori, che molte volte resiste solo fino al momento della scelta delle persone da licenziare. Nonostante sia previsto anche un incentivo per i datori di lavoro, che è assente in caso di cassa integrazione, per le stesse imprese pare preferibile far ricorso agli strumenti tradizionali della Cig a zero ore e dei licenziamenti, perché evidentemente esse ritengono che le difficoltà organizzative non siano compensate dal beneficio finanziario. Anche dopo la riforma del 1993 i risultati sono stati deludenti, per motivi ulteriori da quelli sopra enunciati: da un lato per la dichiarata provvisorietà del nuovo assetto normativo (i benefici previsti non avrebbero trovato applicazione per i contratti stipulati successivamente al 14 giugno 1995), dall’altro per la mancanza dei fondi necessari; le domande provenienti dalle aziende furono infatti di gran lunga superiori alle attese, finendo per essere premiate, secondo un criterio “cronologico”, solo le imprese che si erano mosse per prime, senza una vera selezione dei contratti da finanziare. In particolare il Ministero del lavoro ha sempre considerato, e continua a considerare, residuale il finanziamento destinato agli incentivi alle aziende che stipulano contratti di solidarietà, che dunque non hanno certezza dell’erogazione. Per rilanciare seriamente l’istituto dei contratti di solidarietà, nella prospettiva di una complessiva riforma degli ammortizzatori sociali, sempre annunciata ma mai realizzata, riconducendo peraltro a logica unitaria lo strumento, pur utile in una situazione di emergenza, degli ammortizzatori sociali in deroga, occorre partire dalle possibili convenienze per i diversi soggetti interessati. Dal punto di vista dei lavoratori la riduzione d’orario diventa competitiva rispetto alla Cig, oltre al fatto di non comportare l’uscita dal processo produttivo, qualora risulti minima l’entità della perdita salariale (senza decurtazioni sulla pensione). Dal momento che le prestazioni per la Cig si attestano, almeno teoricamente a circa l’80% della retribuzione, il livello di copertura cui puntare dovrebbe essere intorno all’85-90%. Dal punto di vista delle imprese elementi di convenienza possono derivare: dagli sgravi contributivi e dalle altre agevolazioni da mettere in campo; dall’evitare i costi dei licenziamenti, mantenendo al contempo consenso sociale e buone relazioni sindacali; dal poter disporre delle professionalità necessarie al momento della ripresa, fattore determinante per essere competitive. 9 Ma i problemi organizzativi vanno in qualche modo compensati con un incentivo certo. Il rilancio dei contratti di solidarietà dunque richiederebbe: -aumento e certezza dei finanziamenti e dei tempi nei quali vengono erogati, -una copertura del reddito dei lavoratori maggiormente competitiva con la cassa integrazione, -incentivi alle imprese in grado di compensare le difficoltà organizzative, -incentivi normativi, quali il non computo dei periodi “di solidarietà” ai fini del calcolo del limite complessivo di durata della cassa integrazione di 36 mesi, oppure limiti di durata dei contratti di solidarietà e, più in generale, della cassa integrazione non a zero ore, più favorevoli rispetto ai limiti della cassa integrazione a zero ore. Rimane il problema dei costi, in un contesto di risorse scarse. Al riguardo potrebbero utilmente integrarsi diverse fonti di finanziamento: i contributi statali, non solo come integrazione salariale di base per i lavoratori ma anche come sgravi contributivi ed agevolazioni per le imprese, cercando di cogliere il possibile raccordo con l’intervento di fondi regionali di carattere integrativo; in particolare i fondi gestiti dalla bilateralità, istituiti per via contrattuale, estendendo il modello di mix di intervento pubblico/privato sociale, già previsto dalla disciplina dei contratti di solidarietà nel settore artigiano (e rilanciato sia dal Protocollo sul Welfare, del luglio 2007, poi recepito quale criterio di delega dalla legge n.247/2007-rt.1, comma 29, lett.f), sia, da ultimo, dal d.l.185, il c.d. decreto anticrisi, di prossima conversione in legge). La contrattazione sulla riduzione di orario si legherebbe in tal modo al possibile ruolo della bilateralità, superando una dimensione puramente rivendicativa dell’azione sindacale mediante l’affermazione della cultura della partecipazione e dell’assunzione di responsabilità.

Per approfondire si veda:

  • già G.OLINI/L.RICCIARDI, I contratti di solidarietà. Una guida alla normativa e alla contrattazione, ed. Lavoro, Roma, 1994;
  • L. DEL VECCHIO, Commento sub art.1, L. 19 dicembre 1984, n.863, in M.GRANDI-G.PERA (a cura di), Commentario breve alle leggi sul lavoro, Cedam, Padova, 2008, alla quale si rinvia per ampi riferimenti di dottrina e giurisprudenza.