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Una tutela particolare è prevista nel caso di licenziamento illecito e discriminatorio, cioè nel caso di licenziamento lesivo dei diritti fondamentali della persona ed intimato senza che ricorra la giusta causa o il giustificato motivo. In questo caso viene sempre considerato nullo (cioè come non fosse mai stato effettuato), indipendentemente dalla motivazione adottata, e comporta il diritto alla reintegra nel posto di lavoro oltre che il diritto al risarcimento del danno indipendentemente dalle dimensioni occupazionali dell’azienda (art. 3 l . n.108/90). Questa tutela è accordata a tutti i lavoratori dipendenti (compresi i dirigenti) qualunque sia il numero dei lavoratori occupati dal datore di lavoro. I casi in cui può concretizzarsi un licenziamento discriminatorio sono vari e possono comprendere tanto la partecipazione ad attività sindacali o politiche, quanto discriminazioni basate sul sesso, sulla razza, sulla religione. Di seguito riepiloghiamo le ipotesi più frequenti di licenziamenti discriminatori:

Licenziamento di lavoratore impegnato sindacalmente.

Un lavoratore non può venire licenziato perché svolge attività sindacale all’interno dell’azienda, utilizzando motivi pretestuosi. In caso di licenziamento il dipendente impegnato sindacalmente può impugnarlo, non solo per le vie ordinarie, ma anche per contestare la condotta antisindacale del datore di lavoro. In quest’ultima ipotesi, se si dimostrasse che il lavoratore fosse stato richiamato più volte e poi licenziato per mancanze anche lievi, e che comunque tali mancanze non sarebbero state rilevate ad altri lavoratori non impegnati sindacalmente, il licenziamento verrebbe dichiarato nullo e revocato dal Giudice, e con procedura più veloce rispetto ad una causa ordinaria, invocando cioè la repressione della condotta antisindacale (artt.28 e 15 della Legge 300/70 – Statuto dei Lavoratori).

– Licenziamento di lavoratore sieropositivo.

Il licenziamento di un lavoratore sieropositivo a causa della sua condizione di salute, è sicuramente illegittimo. Il lavoratore sieropositivo non può essere licenziato neanche adducendo motivi di inabilità al lavoro: il dipendente può eventualmente, insorgendo la malattia, risultare temporaneamente inabile al lavoro e quindi rientrare nelle normali procedure di copertura assistenziale previste dalla Leggi in materia di indennità di malattia e di conservazione del posto di lavoro. Infatti la malattia si manifesta ciclicamente, pertanto il dipendente, potrà all’occasione riprendere l’attività lavorativa, non sussistendo nessun pericolo di contagio nei normali rapporti di colleganza sul luogo di lavoro e nei confronti del pubblico.

– Licenziamento ideologico.

Ricordiamo che nel nostro ordinamento vige il principio della nullita’ del licenziamento per ragioni ideologiche, per motivi politici, religiosi, razziali, sindacali, sessuali, ecc.

Pertanto in linea generale, il lavoratore può liberamente nella sua sfera privata sostenere opinioni o principi contrastanti con l’orientamento politico, ideologico, religioso del datore di lavoro, purchè non incidano sullo svolgimento dell’attività lavorativa e non influiscano sulla professionalità e sulle mansioni del dipendente.La possibilità di infliggere un licenziamento per dette ragioni è commisurata all’attività del subordinato, e non alla natura dell’Azienda datrice di lavoro.

Per esempio, non si può licenziare un insegnante di una scuola privata cattolica, anche se questo, nella sua vita privata, risulta aver contratto matrimonio civile, oppure e’ divorziato legalmente: ciò è ininfluente ai fini della valutazione del lavoratore, il quale può tranquillamente continuare ad esercitare le sue mansioni (si pensi ad un insegnante di ginnastica o di matematica) senza per questo compromettere la finalità educativa della scuola cattolica, in quanto le discipline insegnate non comportano di per sè nessun insegnamento ideologico.

Questo vale fino al momento in cui il datore di lavoro non dimostri in maniera rigorosa che il dipendente svolga sul posto di lavoro un’attività contraria alle finalità aziendali.

Licenziamento sulla base dell’aspetto fisico o dell’abbigliamento.

Non troppo paradossalmente possono verificarsi atti discriminatori da parte del datore di lavoro per l’aspetto fisico o l’abbigliamento del dipendente.

In ogni caso si ricorda che il licenziamento può essere effettuato solo in presenza di giusta causa come gravi atti di insubordinazione, furto o frode sul posto di lavoro, violazione degli obblighi contrattuali e disciplinari o di giustificato motivo, come fine dell’attività produttiva, soppressione di una determinata figura lavorativa, ecc. Di conseguenza l’aspetto fisico del lavoratore o il suo abbigliamento non possono essere elementi validi per sostenere un licenziamento. Il lavoratore può essere giudicato solo in base alla sua capacità lavorativa e non certo in funzione del suo modo do vestire, di essere o di pensare.

Tuttavia possono ricorrere casi in cui l’aspetto fisico del dipendente (ad esempio l’obesità) possa comportare una incompatibilità con le funzioni svolte: nella fattispecie un lavoratore obeso potrebbe non essere in grado di trasportare oggetti pesanti e di grandi dimensioni e quindi questo potrebbe fare nascere un ostacolo al suo mantenimento in servizio, in mancanza di mansioni alternative e compatibili da affidargli. In questo caso però il licenziamento non sarebbe causato dal suo aspetto fisico, ma dalla incapacità di svolgere la mansione lavorativa.